Ritorna il Novecento al cinema ed è immediatamente uno strabiliante successo. Ho avuto l'onore di andare ad assistere alla proiezione del film francese, “The Artist”, assoluto protagonista dell' 82° notte dei premi Oscar; devo ammettere che erano anni che non assistevo alla proiezione di un autentico capolavoro, un gioiellino per lo spirito e per il palato gustativo. Nell'epoca del 3D, di internet, Facebook e Twitter, della robotica, di Sky e dei digitali terrestri; Hollywood ha, giustamente, premiato un film muto ed in bianco e nero. La storia di George Valentin, il grande divo del cinema muto, magistralmente interpretato da Jean Dujardin, è uno specchio dei più comuni stati emozionali con i quali si confronta l'uomo. La fama, l'amore, l'ambizione, il successo ma anche il fallimento, la depressione, la caduta, l'angoscia, il tradimento; sono tutti condensati in questa miscela esplosiva di comunicazione e sentimenti che avvolgono, come non mai, lo spettatore in un ancestrale atmosfera dove uno sguardo ed una carezza valgono (e dicono) molto di più degli Avatar, ultima generazione di filmografia pornocratica e tirannica che aveva anestetizzato i cervelli e frantumato l'occhio del cuore con il quale si andava a vedere un'opera cinematografica. Si può fare egregia cultura filmica anche senza tanti effetti speciali, puntando su bravi attori ma soprattutto su una storia genuina, che sappia rivitalizzare il nostro entusiasmo in un tempo dove i sogni sembrano proibiti e le speranze ridotte all'osso. Gli ultimi esperimenti di cinematografica americana sembravano, malinconicamente, portarsi su altre strade: quella della barbarie tecnicizzata; fortunatamente il regista Hazanavicius ha cambiato direzione e si è cimentato in quel sentiero impervio della ricostruzione del cinema che non parla eppure dice tanto. I 100 minuti di pellicola sono pieni zeppi di comunicazione e di una espressività che sembravamo aver accantonato, per non dire dimenticato, per sempre. “The Artist”, è un omaggio al Secolo scorso, snobbato dal popolo dei cellulari, dalle folle dei satelliti e dai plotoni dell'etere; sullo sfondo si consuma una limpida ed elegante storia d'amore, un'amore discreto, pulito, davvero d'altri tempi. Lo stesso Hazanavicius ha confessato di essersi ispirato ai giganti della cinematografia mondiale: Fritz Lang, Charlie Chaplin, Murnau e Vidor. È un ritorno alle origini, ad un tempo dove l'uomo era ancora protagonista, c'era si miseria di mezzi ma ricchezza nei contenuti e di valori, la vita era paurosamente rude e faticosa ma molto più fascinosa di quella plastificata, liberalizzata, montiana del xxi secolo. In fondo, ed i recenti accadimenti economici e finanziari sono a testimoniarlo, siamo più prossimi ai personaggi della Grande Depressione anziché agli yuppies degli anni '80 ed ai relativizzanti e reganiani anni da “scudo stellare”. “The Artist”, nella sua vetustà, è il più contemporaneo dei film: quante cadute, quanti sogni infranti, depressioni, se non addirittura suicidi di imprenditori a causa dell'inesorabile e cinico trascorrere del tempo e abbandono al suo tragico destino a chi non si amalgama alle sue metamorfosi? Basta poco a stupirci e farci uscire da una sala cinematografia con gli occhi umidi: una storia d'amore, un racconto di come siamo fatti, di quello che ci turba, delle nostre speranze e dei fallimenti. Guardare “The Artist” è come andare a trovare un lontano parente, è un viaggio segreto in un paesino di campagna dove la gente si conosce ancora per nome (e non per titoli accademici e baronali o per professioni). Sono convito che quest'opera farà bene a chi deciderà di abbandonare per un paio d'ore gli spread, le Fornero, le banche, gli I-Pad e la telefonia e ritornerà in pace con se stesso ed i suoi sensi ripercorrendo le strade della cinematografia dei pionieri, filtrando con quel padre (il Novecento) arcigno e severo ma che ci ha fatto crescere e maturare in modo completo, consegnandoci una dignità sociale ed umana molto più profonda e rispettosa di quella che stiamo andando a sputtanare nella vita siliconata del “quarto d'ora di celebrità”. Andate, quindi, cari lettori a vedere “The Artist”perchè non è un film ma un omaggio alla nostra fanciullezza identitaria.
Paolo Cecco