mercoledì 30 gennaio 2013

TROVA LE DIFFERENZE


Raganà suggella la pace tra Ater (rappresentato dal Presidente Niko Cordioli) e Comune di Legnago (rappresentato dal Sindaco Roberto Rettondini).
Che dire? Siamo in ... "buone mani"

venerdì 25 gennaio 2013

Ciao Adri!


Oggi se n’è andata Adriana Tavella.
Nel Comune di Legnago Adriana – se la memoria non mi inganna - era la responsabile della segreteria degli organi istituzionali.
Potrei anche sbagliarmi perché, in realtà, per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna o la sventura di frequentare la politica di Palazzo De Stefani, Adriana non aveva un ruolo ben definito: era semplicemente il Faro.
La confidenza con lei te la guadagnavi sul campo. Adriana seguiva i Consigli comunali per stendere poi i verbali delle sedute. E sapeva se e quanto ti impegnavi per la tua e sua comunità.
In Aula potevi anche non essere uno splendido oratore. Ma di sicuro lei avrebbe saputo trasporre nero su bianco il tuo pensiero, cogliendone il significato, anche se le sarebbe costato riascoltare la tua voce un’infinità di volte attraverso un antiquato mangianastri.
Era sempre gentile e disponibile con tutti. Quando bussavi alla sua porta i suoi meravigliosi occhi sbucavano tra le montagne di carte che si accatastavano sulla sua scrivania e ti prestava ascolto. E anche se per sbaglio - o piuttosto per pigrizia - componevi il suo numero per reperire un’informazione si faceva in quattro per aiutarti.
Aveva una predilezione per i più giovani per i quali rappresentava, oltre che il Faro istituzionale, una “chioccia”.
Se i più esperti, i marpioni del Consiglio, ti infierivano una lezione, la mattina dopo Adriana ti chiamava e ti consolava.
Quante volte mi è capitato, durante i miei primi anni di consigliatura, di ricevere l’abbraccio affettuoso di Adriana dopo una “serata no”. Mi pare ancora di sentirla minimizzare le mie figuracce ed anzi, tentare addirittura di elogiarmi.
L’ultimo abbraccio che ho restituito ad Adriana credo sia stato in occasione del mio forzato passaggio di consegne dall’assessorato.
Poi qualche telefonata. Troppo poco. Non mi do pace per non essere mai andato a trovarla; malgrado glielo avessi promesso, l’ultima volta nei primi giorni dell’anno.
La sua voce era un po’ sbiadita per un male feroce che non perdona e che lei ha accettato. Consapevole.
Ma era sempre gentile e rassicurante. Quasi che fosse lei a preoccuparsi per me. Perché non avrebbe potuto mettersi in ghingheri per ricevermi.
Una cosa però per fortuna ad Adriana sono riuscito a dirla: “ti voglio bene, Adri”.
È strano come la banalità del bene esca solo in certe maledette situazioni. Ma forse lei, anche questa cosa, al pari di certi discorsi d’aula troppo intricati, era già riuscita a decifrarla.
Ciao Adri!

venerdì 18 gennaio 2013

RECENSIONE DEL FILM CLOUD ATLAS DI PAOLO CECCO

Se c'è una competizione che in questo periodo prende tutto il mio interesse, non è certo l'orrenda sfida per le politiche italiane: un affaire gerontocratico (alcuni dei favoriti leader che continuano ad ammagliare i cortigiani italiani sono nati quando giocavano Piola e Meazza ed il trio Lescano cantava Marameo perchè sei morto) ma l'appassionante corsa per l'85esima edizione della cerimonia degli Oscar, dove, oltre a “Les Misérables” sarà presente quel “Cloud Atlas” uscito nelle sale del Bel Paese a metà Gennaio ed oggetto di questo scritto. La trama è delle più complicate: sei storie, ambientate in epoche diverse, si svolgono in parallelo come se fossero presenti in un unica dimensione senza tempo. A metà Ottocento, un avvocato si adopererà contro la schiavitù e le discriminazioni razziali; negli anni Trenta, un compositore bisessuale denuncerà la discriminazioni omofobiche; a San Francisco negli anni Settanta, una reporter svelerà un complotto contro lo strapotere delle compagnie energetiche; ai giorni nostri in Inghilterra, un goffo editore è rinchiuso in una casa di riposo; nella Seul del 2144 un clone denuncerà il sistema totalitario economico dominante; infine in uno scenario post apocalittico, un uomo entra in contatto con i membri di una civiltà avanzata e si ribellerà alla tribù dominante. L'opera del fratelli Wachowski, ispirata al romanzo “l'atlante delle nuvole” di David Mitchell, apparirà spigolosa, complicata ed in alcuni frangenti ostica tuttavia non è possibile non scorgerne il contenuto rivoluzionario di arte cinematografica e di messaggio celato in essa. Un film visionario che incolla lo spettatore più sensibile nella comoda poltrona cinematografica, per catapultarlo fuori di sé, in modo da vivisezionare l'intera esistenza, le scelte, i pensieri ed i sogni di chi pensa di essere l'assoluto navigatore del proprio destino. Un dipinto del genere umano, nella quale si mescolano i colori del passato, presente e futuro per mostrarci quanto siamo mossi, lungo l'eternità dei secoli, dalle stesse necessità, dai medesimi valori (fede, amore, libertà) e dalle identiche paure. “La nostra vita e le nostre scelte”- riprendendo il prologo del film-”ogni incontro suggerisce una nuova, potenziale, direzione”. E se l'essenza sulla quale abbiamo sedimentato il nostro genere, quella del tempo, si rivelasse un grande bluff e si dimostrasse la ciclicità di una sola “epoca” nella quale continuiamo a commettere gli stessi errori, ci cibiamo degli stessi sogni e proviamo le stesse sensazioni, ogni volta? Interrogando la nostra profondità, dopo la visione del lungometraggio possiamo rassomigliare al pattinatore artistico che passa e ripassa sulle sue orme, all'infinito. Con “Cloud Atlas” sfuma la concezione cronologica e sensata del tempo: l'unico orologio esistente è quello circoscritto dalle svariate occasioni che vengono offerte a quell' unicum di esistenza umana intimamente legata più di quanto non ci confessano i libri di storia. Quindi, gli occhi imperniati di lacrime dello schiavo africano di metà Ottocento sono gli stessi del clone della Seul del 2144 ma quell'umidità di idealità e sentimenti lo si scorge anestetizzando l'uomo dal surplus di date, concetti, eventi che la storia cronologica ci rappresenta. Un uomo allora vale milioni di uomini, una storia umana, milioni di narrazioni, un epoca contiene in sé tutte le epoche passate e future. Ecco l'atlante del genere umano, la preziosità della dignità umana. Non so se farà accademia il lavoro dei fratelli Wachowski; certamente pone interrogativi e meditazioni degni del nostro genere; la nobiltà di “ Cloud Atlas ” è sfuggevole, atipica, quasi raccapricciante in un epoca ed in un tempo dove a farla da padrona è l'ebetismo al potere, Boldi, i pacchi, i cinepanettoni e le armi di distrazione di massa di Moccia. Magari non vincerà nemmeno un premio Oscar ma un obiettivo, “ Cloud Atlas” l'ha già ottenuto: fermarci per 172 minuti a riflettere sulla nostra condizione di animali con spirito e raziocinio e provare un indefinibile brivido che ci percorrerà dietro la schiena e che ci trascineremo a forza con noi in tutti i tempi, in tutte le vite, in tutte le epoche.

Paolo Cecco

venerdì 11 gennaio 2013

I COMUNI ALLA PROVA DIABOLICA PER SALVARE I GIUDICI DI PACE


OVVERO: QUANDO LO STATO SMENTISCE SE' STESSO

L’ho scritto più volte: i Comuni, anche in consorzio tra loro, possono salvare gli Uffici del Giudice di Pace destinati per legge alla soppressione. E tale è quello di Legnago.
Per farlo dovrebbero farsi carico delle spese di funzionamento degli uffici, incluso il fabbisogno del personale amministrativo. Lo Stato centrale continuerebbe a pagare soltanto l’indennità dei giudici onorari.
E la prova, già di per sé assai ardua, in tempi di grave crisi per i forzieri comunali, è in realtà ancora più difficile, per non dire diabolica.
Infatti, come ha sancito la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti lombarda (parere n. 522/2012 – Cfr articolo ItaliaOggi, segnalatomi dall'Amico e Collega Avv. Francesco Tregnaghi), i Comuni non dovranno soltanto tirar fuori abbondanti quattrini per pagare uffici, bollette e personale, ma tali esborsi dovranno pure fare i conti (scusate il gioco di parole) con il patto di stabilità interno e con la disciplina in materia di contenimento della spesa di personale, come previsti dall'articolo 1, comma 557 della legge finanziaria 2007.
In parole povere lo Stato centrale ha detto ai Comuni che questi potrebbero assumere spese di fatto vietate da altre norme emanate dallo stesso Stato centrale.
Un cane che si morde la coda o semplicemente norme scritte da cani?