Al Liceo, dove forse brillavo per
l'arte di arrangiarmi, non certo per bravura e impegno, la
Professoressa Bellato era un'istituzione; oltre all'insegnamento
dedicava molto tempo al teatro, disciplina extrascolastica che
adorava e incoraggiava tra gli studenti.
Per far colpo su una ragazza mi misi
anch'io a frequentare l'ambiente liceale della commedia ma, non
avendo alcuna intenzione di mandare a memoria le battute, mi
improvvisai tecnico delle luci, inserviente - nel senso più
letterale del termine, credo - e aiuto regista del mitico Cosma
Ambrosini.
Stupita da cotanto mio “impegno”,
la Prof mi citava nelle classi come esempio di “redenzione”.
Debbo dire che non ho le ho mai
rivelato la verità. Nemmeno anni dopo, quando la trovavo in centro e
la accompagnavo sino a casa aiutandola a portare la spesa.
Era una sognatrice, senza grande senso
pratico, la mia Prof.
Ricordo un anno in cui, trascorsa
appena una settimana dalla ripartizione dei fondi per le attività
extrascolastiche, venne da me – rappresentante degli studenti –
per dirmi che il teatro aveva finito i soldi.
Non mi capacitai del motivo sin quando
mi accorsi che qualche sarto l'aveva convinta ad acquistare
costosissimi tessuti di broccato, anziché i soliti stracci usa e
getta da commedia scolastica.
Tra i più bei ricordi di lei, quello
della mia maturità.
La commissione era andata per le
lunghe, ed essendo ormai ora di pranzo, tutti gli amici che erano
venuti per assistere alla mia prova orale se n'erano andati a casa,
incoraggiati peraltro da me.
Tuttavia non potevo certo allontanare
la Professoressa Bellato, che volle assistere a tutti i costi per
provare in qualche modo a sostenermi.
All'epoca la prova orale consisteva
nell'interrogazione su due materie: io avevo scelto italiano e
filosofia.
Superata – miracolosamente –
indenne la prova di lettere, sentii la prof – seduta giusto dietro
di me - alzarsi e gridare un liberatorio “bravo fanciullo, ce
l'abbiamo fatta”.
Toccò a me tranquillizzarla e
riportala all'amara realtà: l'interrogazione continua.
Le ricordai quell'episodio giusto
qualche settimana fa, quando andai a trovarla a casa sua, dov'era
costretta a letto da un brutto male.
Per la prima volta ebbi il coraggio di
dirle quello che ho sempre pensato e che, paradossalmente, non si
dice mai, ovvero che le volevo bene.
Non rivelerò cosa mi disse, con un
sorriso appena accennato – non sorrideva molto - e lo sguardo
sempre profondo e generoso.
Ma uscii convinto che talvolta si può
lasciare un buon segno nella vita anche solo con un po' di umanità.