giovedì 9 aprile 2009

inviatami via e-mail dall'Amico Paolo

Caro Paolo,
come promesso ti lascio due poesie di due Grandi Italiani.
che dirti?nella giornata di Lutto nazionale, il mio augurio più grande è che
gli utenti del tuo blog possano, per un attimo, posare gli occhi sui due
scritti che narrano della tragicità della vita e di un intero Paese (l'opera di
Ungaretti) ed un ode, un inno, un pensiero all'Italia (lo scritto di
Leopardi).
In questi giorni di lutto urlo w la Patria!w l'Italia!l'Italia, la Vera
Italia è quella dei borghi, delle strade ciotolate, dei campanili, delle
chiese, dei rioni, dei profumi, dei dialetti, dei sapori...Questa è la mia
Italia!
Più di indigeribili e incomprensibili borghesi discorsi di un capo dello
Stato che rappresenta, goffamente, solo se stesso; più della vituperata e
primitiva carta costituzionale...Più della nazionale di Lippi...Più di ogni
altra FUTILE cosa che in ogni istante ci rimbambisce e aliena la nostra vera
identità italiana, in questi momenti di tragedia umana e sociale rimembriamo
quali sono le unicità del nostro fantastico popolo:la sua solidarietà, la sua
cultura, le sue città, le sue tradizioni.
Dunque due poesie, più di fittizi discorsi in pompa magna... Due poesie
perchè questo è il nostro vocabolario...Due storie di tristezza, tragicità,
fatalità ma soprattutto di amore per una Patria immortale, questo c'è lo
meritiamo! W la Patria! w gli italiani!
un abbraccio,

Paolo


Le poesie sono pubblicate nello spazio dedicato ai post

1 commento:

  1. UNGARETTI : "San Martino del Carso"


    San Martino del Carso

    Di queste case
    Non è rimasto
    Che qualche
    Brandello di muro
    Di tanti
    Che mi corrispondevano
    Non è rimasto
    Neppure tanto
    Ma nel cuore
    Nessuna croce manca
    E’ il mio cuore
    Il paese più straziato



    ALL'ITALIA

    O patria mia, vedo le mura e gli archi

    E le colonne e i simulacri e l'erme

    Torri degli avi nostri,

    Ma la gloria non vedo,

    Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi

    I nostri padri antichi. Or fatta inerme,

    Nuda la fronte e nudo il petto mostri.

    Oimè quante ferite,

    Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,

    Formosissima donna! Io chiedo al cielo

    E al mondo: dite dite;

    Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,

    Che di catene ha carche ambe le braccia;

    Sì che sparte le chiome e senza velo

    Siede in terra negletta e sconsolata,

    Nascondendo la faccia

    Tra le ginocchia, e piange.

    Piangi, che ben hai donde, Italia mia,

    Le genti a vincer nata

    E nella fausta sorte e nella ria.

    Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,

    Mai non potrebbe il pianto

    Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;

    Che fosti donna, or sei povera ancella.

    Chi di te parla o scrive,

    Che, rimembrando il tuo passato vanto,

    Non dica: già fu grande, or non è quella?

    Perché, perché? dov'è la forza antica,

    Dove l'armi e il valore e la costanza?

    Chi ti discinse il brando?

    Chi ti tradì? qual arte o qual fatica

    O qual tanta possanza

    Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?

    Come cadesti o quando

    Da tanta altezza in così basso loco?

    Nessun pugna per te? non ti difende

    Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo

    Combatterò, procomberò sol io.

    Dammi, o ciel, che sia foco

    Agl'italici petti il sangue mio.

    Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi

    E di carri e di voci e di timballi:

    In estranie contrade

    Pugnano i tuoi figliuoli.

    Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,

    Un fluttuar di fanti e di cavalli,

    E fumo e polve, e luccicar di spade

    Come tra nebbia lampi.

    Né ti conforti? e i tremebondi lumi

    Piegar non soffri al dubitoso evento?

    A che pugna in quei campi

    L'itala gioventude? O numi, o numi:

    Pugnan per altra terra itali acciari.

    Oh misero colui che in guerra è spento,

    Non per li patrii lidi e per la pia

    Consorte e i figli cari,

    Ma da nemici altrui

    Per altra gente, e non può dir morendo:

    Alma terra natia,

    La vita che mi desti ecco ti rendo.

    Oh venturose e care e benedette

    L'antiche età, che a morte

    Per la patria correan le genti a squadre;

    E voi sempre onorate e gloriose,

    O tessaliche strette,

    Dove la Persia e il fato assai men forte

    Fu di poch'alme franche e generose!

    Io credo che le piante e i sassi e l'onda

    E le montagne vostre al passeggere

    Con indistinta voce

    Narrin siccome tutta quella sponda

    Coprìr le invitte schiere

    De' corpi ch'alla Grecia eran devoti.

    Allor, vile e feroce,

    Serse per l'Ellesponto si fuggia,

    Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;

    E sul colle d'Antela, ove morendo

    Si sottrasse da morte il santo stuolo,

    Simonide salia,

    Guardando l'etra e la marina e il suolo.

    E di lacrime sparso ambe le guance,

    E il petto ansante, e vacillante il piede,

    Toglieasi in man la lira:

    Beatissimi voi,

    Ch'offriste il petto alle nemiche lance

    Per amor di costei ch'al Sol vi diede;

    Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.

    Nell'armi e ne' perigli

    Qual tanto amor le giovanette menti,

    Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?

    Come sì lieta, o figli,

    L'ora estrema vi parve, onde ridenti

    Correste al passo lacrimoso e duro?

    Parea ch'a danza e non a morte andasse

    Ciascun de' vostri, o a splendido convito:

    Ma v'attendea lo scuro

    Tartaro, e l'onda morta;

    Né le spose vi foro o i figli accanto

    Quando su l'aspro lito

    Senza baci moriste e senza pianto.

    Ma non senza de' Persi orrida pena

    Ed immortale angoscia.

    Come lion di tori entro una mandra

    Or salta a quello in tergo e sì gli scava

    Con le zanne la schiena,

    Or questo fianco addenta or quella coscia

    Tal fra le Perse torme infuriava

    L'ira de' greci petti e la virtute.

    Ve' cavalli supini e cavalieri;

    Vedi intralciare ai vinti

    La fuga i carri e le tende cadute

    E correr fra' primieri

    Pallido e scapigliato esso tiranno;

    Ve' come infusi e tinti

    Del barbarico sangue i greci eroi,

    Cagione ai Persi d'infinito affanno,

    A poco a poco vinti dalle piaghe,

    L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:

    Beatissimi voi

    Mentre nel mondo si favelli o scriva.

    Prima divelte, in mar precipitando,

    Spente nell'imo strideran le stelle,

    Che la memoria e il vostro

    Amor trascorra o scemi.

    La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando

    Verran le madri ai parvoli le belle

    Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,

    O benedetti, al suolo,

    E bacio questi sassi e queste zolle,

    Che fien lodate e chiare eternamente

    Dall'uno all'altro polo.

    Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle

    Fosse del sangue mio quest'alma terra.

    Che se il fato è diverso, e non consente

    Ch'io per la Grecia i moribondi lumi

    Chiuda prostrato in guerra,

    Così la vereconda

    Fama del vostro vate appo i futuri

    Possa, volendo i numi,

    Tanto durar quanto la vostra duri.

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