Paolo Cecco
venerdì 18 gennaio 2013
RECENSIONE DEL FILM CLOUD ATLAS DI PAOLO CECCO
Se c'è una competizione che in
questo periodo prende tutto il mio interesse, non è certo
l'orrenda sfida per le politiche italiane: un affaire
gerontocratico (alcuni dei favoriti leader che continuano ad
ammagliare i cortigiani italiani sono nati quando giocavano Piola e
Meazza ed il trio Lescano cantava Marameo perchè sei
morto) ma l'appassionante corsa per l'85esima edizione della
cerimonia degli Oscar, dove, oltre a “Les
Misérables” sarà presente quel
“Cloud Atlas” uscito nelle sale del Bel Paese a
metà Gennaio ed oggetto di questo scritto. La trama è
delle più complicate: sei storie, ambientate in epoche diverse,
si svolgono in parallelo come se fossero presenti in un unica
dimensione senza tempo. A metà Ottocento, un avvocato si
adopererà contro la schiavitù e le discriminazioni
razziali; negli anni Trenta, un compositore bisessuale
denuncerà la discriminazioni omofobiche; a San Francisco negli
anni Settanta, una reporter svelerà un complotto contro lo
strapotere delle compagnie energetiche; ai giorni nostri in
Inghilterra, un goffo editore è rinchiuso in una casa di
riposo; nella Seul del 2144 un clone denuncerà il sistema
totalitario economico dominante; infine in uno scenario post
apocalittico, un uomo entra in contatto con i membri di una
civiltà avanzata e si ribellerà alla tribù
dominante. L'opera del fratelli Wachowski, ispirata al romanzo
“l'atlante delle nuvole” di David Mitchell,
apparirà spigolosa, complicata ed in alcuni frangenti ostica
tuttavia non è possibile non scorgerne il contenuto
rivoluzionario di arte cinematografica e di messaggio celato in essa.
Un film visionario che incolla lo spettatore più sensibile
nella comoda poltrona cinematografica, per catapultarlo fuori di
sé, in modo da vivisezionare l'intera esistenza, le scelte, i
pensieri ed i sogni di chi pensa di essere l'assoluto navigatore del
proprio destino. Un dipinto del genere umano, nella quale si mescolano
i colori del passato, presente e futuro per mostrarci quanto siamo
mossi, lungo l'eternità dei secoli, dalle stesse
necessità, dai medesimi valori (fede, amore, libertà) e
dalle identiche paure. “La nostra vita e le nostre
scelte”- riprendendo il prologo del film-”ogni incontro
suggerisce una nuova, potenziale, direzione”. E se
l'essenza sulla quale abbiamo sedimentato il nostro genere, quella del
tempo, si rivelasse un grande bluff e si dimostrasse la
ciclicità di una sola “epoca” nella quale
continuiamo a commettere gli stessi errori, ci cibiamo degli stessi
sogni e proviamo le stesse
sensazioni, ogni volta? Interrogando la nostra profondità, dopo
la visione del lungometraggio possiamo rassomigliare al pattinatore
artistico che passa e ripassa sulle sue orme, all'infinito. Con
“Cloud Atlas”
sfuma la concezione cronologica e
sensata del tempo: l'unico orologio esistente è quello
circoscritto dalle svariate occasioni che vengono offerte a quell'
unicum
di esistenza umana intimamente
legata più di quanto non ci confessano i libri di storia.
Quindi, gli occhi imperniati di lacrime dello schiavo africano di
metà Ottocento sono gli stessi del clone della Seul del 2144
ma quell'umidità di idealità e sentimenti lo si scorge
anestetizzando l'uomo dal surplus di date, concetti, eventi che la
storia cronologica ci rappresenta. Un uomo allora vale milioni di
uomini, una storia umana, milioni di narrazioni, un epoca contiene
in sé tutte le epoche passate e future. Ecco
l'atlante
del genere umano, la
preziosità della dignità umana. Non so se farà
accademia il lavoro dei fratelli Wachowski; certamente pone
interrogativi e meditazioni degni del nostro genere; la
nobiltà di “
Cloud Atlas
” è sfuggevole,
atipica, quasi raccapricciante in un epoca ed in un tempo dove a
farla da padrona è l'ebetismo al potere, Boldi, i pacchi, i
cinepanettoni e le armi di distrazione di massa di Moccia. Magari
non vincerà nemmeno un premio Oscar ma un obiettivo, “
Cloud Atlas”
l'ha già ottenuto: fermarci
per 172 minuti a riflettere sulla nostra condizione di animali con
spirito e raziocinio e provare un indefinibile brivido che ci
percorrerà dietro la schiena e che ci trascineremo a forza
con noi in tutti i tempi, in tutte le vite, in tutte le epoche.
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1 commento:
Bravo Paolo. Leggo sempre volentieri le tue recensioni.
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