giovedì 24 aprile 2008

LA CASSAZIONE RIBADISCE IL NO ALLA COLTIVAZIONE DI CANNABIS PER USO PERSONALE

ROMA - Rimane illecito penale coltivare qualche pianta di cannabis per uso personale. Lo hanno deciso le sezioni unite della Cassazione sposando la linea 'dura' nel perseguire chi pianta qualche piantina di marijuana sul balcone o nel giardino di casa.

Con questa decisione, presa dalle sezioni unite della Suprema Corte presieduta dal Primo presidente Vincenzo Carbone, i giudice del 'Palazzaccio' sposano la linea proibizionista e più intransigente nella repressione della coltivazione di piccoli quantitativi di marijuana, in contrasto con decisioni precedenti - prese dalle sezioni semplici della stessa Cassazione - che avevano depenalizzato il comportamento di chi coltiva qualche piantina.

Nella sua requisitoria, il rappresentante della Procura della suprema corte, Vitaliano Esposito, aveva invece chiesto di non considerare penalmente perseguibile la coltivazione domestica. Ma il suo parere non è stato ascoltato.

"Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività di coltivazione non autorizzata" di cannabis. E' questa la "soluzione" giuridica adottata oggi dalle Sezioni unite penali della Suprema Corte in tema di liceità, o meno, delle coltivazioni domestiche di marijuana per uso personale. La massima di diritto è contenuta in una nota diffusa dalle Sezioni unite penali della Cassazione in una sintetica "informazione provvisoria" sulla Camera di consiglio che si è da poco conclusa sotto la presidenza del Primo presidente Vincenzo Carbone.

La questione esaminata dal massimo consesso di 'ermellini' era la seguente: "Se la condotta di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, sia penalmente rilevante anche quando sia realizzata per destinazione del prodotto a uso personale". La risposta data dai magistrati di legittimità è stata nel senso della rilevanza penale di ogni tipo di coltivazione di sostanze stupefacenti che non sia "autorizzata".
(ANSA)

9 commenti:

MSU Ferrara ha detto...

Come commentare questa notizia? Da una parte si può essere contenti, perchè si pone un limite chiaro ad una questione controversa. Dall'altro condannare un ragazzo a 4 anni di prigione per aver coltivato una pianta, seppur cannabis, non mi sembra equo in proporzione ad altre senteze per casi ben più "pesanti". Cmq resta il fatto che usare cannabis, cocaina o altre droghe, leggere o pesanti che siano, è da deboli, come in tutti i casi in cui si dipende da qualcosa.

Anonimo ha detto...

Sono anch'io come tamburo,dell'opinione che condannare a 4 anni una persona per aver coltivato della cannabis,sia esagerato.Ma come la mettiamo con il commercio globale di stupefacenti?.Come la mettiamo con il fatto che sempre più giovani Italiani trovano "conforto" nell'uso di droghe?.Siamo ad uno snodo cruciale.La gioventù Europea si sta "SUICIDANDO" con la droga e con l'alcool.E tutto questo perchè la nostra società liberale,tollerante,non è più in grado di indicare una via verso la salvezza.E non pensiamo che siano solo certi tipi di ragazzi a consumare droghe,leggere o pesanti che siano.Il consumo di cocaina è all'apice anche tra quei ragazzi e ragazze "insospettabili",che poi ritroviamo molto vicini a noi....SIMONE

Anonimo ha detto...

Oh, com'ela che ti ga linkà el Matìn de Padoa e no L'Arena? Sito Padoàn?

Anonimo ha detto...

La dinamica sociale della moda domina incontrastata da ormai quarant'anni. Cioè dal famigerato 1968, l'anno in cui i nati nell'immediato dopoguerra, i ventenni di allora, reclamavano a gran voce il loro ingresso nel mondo dei consumi. Così fu, e tale avvenimento indicò la strada da percorrere al capitalismo. Una strada che avrebbe portato all'eliminazione di ogni conflitto sotto la dittatura di quel fascismo rosa che è la moda, concretizzata dalle merci. La moda soddisfa le esigenze sia del rivoluzionario innovatore che del reazionario conservatore, giacché garantisce quella che possiamo chiamare "novità vissuta come tradizione". Ogni anno si assegna un Nobel, ogni anno c'è la Notte degli Oscar. Eventi che imbrigliano nelle maglie anguste di una nuova tradizione, l'invenzione e la creazione, che non sono soggette a nessuna scadenza.

Ora, il pensiero debole dominante [1] costringe gli individui a cercare la weltanschauung che è loro congeniale, senza però condannare in maniera perentoria gli altri punti di vista. Ciò significa che il predominio di una visione è soltanto relativo e, ancorché in minima parte, si è costretti a interiorizzare altre visioni del mondo. Esse si estrinsecano in un particolare stile di vita. E, stante il relativismo culturale, può accadere che uno individuo consideri buoni per sé stesso più stili di vita. È la questione della scissione dell'io, che tiene banco almeno dagli inizi del Novecento. La personalità è divisa e non solo: i mass media stessi invitano a un, mi si passi il termine, multiplo standard [2], ossia all'adesione spregiudicata a più stili di vita, anche in contrapposizione tra loro. Questo, se da un lato porta a una (falsa) liberazione dell'espressione umana, dall'altro imprigiona gli individui perché il messaggio che si veicola è quello di non avere regole. Senza regole, eliminando, cioè, il Superego, si dà il via libera all'Id. L'uomo, quindi, si ritrova schiavo delle proprie pulsioni libidiche. Non stupisce, pertanto, il trovare nella cronaca nera fatti di sangue o di ordinaria immoralità che coinvolgono giovani "bene". Non stupisce nemmeno, e qui vengo al punto, che un numero sempre crescente di giovani facciano uso di droga. Perché, se l'imperativo è il perseguimento senza freni del piacere, l'incremento del consumo di droga è inevitabile. La droga si consuma perché dà piacere, questo è un assunto da cui partire e da non dimenticare per non rischiare di fraintendere il fenomeno.

Si potrebbe pensare, quindi, che il ritorno a un modello repressivo di società autoritaria possa essere una delle soluzioni al dilagare dell'uso di stupefacenti. Saremmo nell'errore, giacché il problema sta altrove. Le radici del fenomeno sono nella moda, in quella cultura che, conciliando tesi opposte, le avalla tutte, cagionando la scissione dell'io. Senza la ridda vorticosa, incessante e inevitabile delle mode, avremmo di nuovo un discrimine morale per affermare con forza una nuova etica, inclusiva, tendente all'integrazione, comunitaria, ma non relativistica, nel suo senso più deteriore. Ma per disfarci della moda, dovremmo ripensare il nostro modello di consumo. Dovremmo, insomma, mettere in discussione il capitalismo. Siamo disposti a farlo?

[1] Solo per comodità, per convenzione, la riflessione filosofica attuale può definirsi "debole". In realtà, se si allarga lo sguardo, la concezione secondo cui nessun punto di vista deve avere il predominio assoluto sugli altri è forte, perché non lascia spazio a un'alternativa.

[2] Alludo qui al double standard di ascendenze vittoriane, ovviamente adattato ai tempi.

Anonimo ha detto...

Interessante commento questo;anche se non è come scoprire l'acqua calda.Perchè se come giustamente sostieni,viviamo nella società dell'effimero dove,citando una canzone di Battiato:"Più tutto è inutile e più sembra vero",siamo come dici tu disposti a rinunciare al capitalismo,ovvero a quell'insieme di concetti non solo ecomonici,ma ahimè anche spirituali,che da duecento anni determina la nostra esistenza?.Capitalismo che non è eterno e nemmeno inviolabile,è solamente uno dei sistemi ecomonici possibili ma che guarda caso è l'unico o quasi esteso a tutto il pianeta.Ma non vorrei allontanarmi dal tema principale:La droga.Io sono abituato a guardare dentro i mille rivoli dell'informazione,e sono vaccinato contro le opzioni politicamente corrette.Cosa voglio dire;che la droga,la sua coltivazione,produzione,e spaccio,sono uno dei cardini del capitalismo mondiale.Anzi,il capitalismo mondiale si basa su questa triade:Petrolio,droga,armi.Si può anzi dire che insieme costituiscono un unico impero globale.Provate a guardare quali sono i punti nevralgici della produzione mondiale di droga(però fatevela voi la ricerca,a me è costato tempo e fatica),e,coincidenza,vi accorgerete che sono qquasi un tutt'uno con le zone di estrazione del petrolio,e di come queste siano rese instabili a mezzo delle stesse ricchezze che producono.La geopolitica della droga ha un ruolo di primo piano,e si intreccia in maniera sbalorditiva con quella del petrolio.Mi rendo conto che mi sto avventurando un po' oltre i limiti e gli spazi di questo blog,ma sappiate(oppure lo sapete già),che dietro a tutto questo c'è un solo responsabile:Il capitalismo e il suo principale difensore;gli Stati Uniti.Gli esempi sono innumerevoli ma per questioni di tempo ne cito due che mi stanno a cuore.Nel 1943 per organizzare l'invasione della Sicilia l'amministrazione Roosevelt,si rivolse a Lucki Luciano,che fu liberato dal carcere,potè tornare in Sicilia e riorganizzare quella mafia che il fascismo aveva debellato.Luciano aprì la via della droga spalleggiato in questa operazione da quella che poi diventò la CIA(ovvero la base,guarda caso lo stesso significato di al quaeda).Questo primo esempio l'ho anche fatto per dimostrare a mio parere quanto aldilà delle connessioni è proprio lo spirito mercantile ad essere mafioso.Altro esempio è lo stato fantoccio,criminale del Kosovo.Ci dovrebbe far riflettere in quanto EUROPEI quello che è accaduto nei Balcani.Gli Stati Uniti hanno armato,protetto,addestrato l'UCK che altro non è se non il braccio armato dellamafia Albanese a sua volta collegata con quella Italiana e Cecena.Ma non solo:i recenti tentativi di allargare la Nato ad est non sono altro se non tentativi di incunearsi ai confini della Russia,nella speanza di gestiare in proprio le ricchezze energetiche del sottosuolo.Adesso mi fermo perchè altrimenti il discorso mi spingerebbe ad andare molto più in la.Una cosa solo mi preme ribadire:Tutto rientra nella strategia globale,cometutto fa parte del sistema di ricchezze e dominio su scala planetaria.Il petrolio richiama la droga e insieme richiamano la logica di controllo geopolitico.Tutto questo all'interno di un sistema di ricatto indiretto,perchè il narco riciclaggio è parte essenziale di molte economie occidentali.....SIMONE

____ ha detto...

Molto semplicemente: DROGARSI NON E' UN DIRITTO.

Anonimo ha detto...

Hai ragione Paolo:drogarsi non è affatto un diritto.Ma personalmente mi da molto fastidio vedere come innumerevoli risorse umane ed economiche vengano impiegate nella lotta al narcotraffico,quando poi "uscita" la droga dalla porta,questa poi ti rientra dalla finestra....simone

Anonimo ha detto...

Paolo, la tua non è una risposta, è uno slogan politico! Solo le merci, nella loro vita catodica intermittente, parlano per slogan! Ma la politica non dovrebbe essere un'uscita al supermercato per comprare il politico più conveniente! Il Pdl lava più bianco?

La gente si droga lo stesso, e getta all'aria digesti e manuali di filosofia del diritto, perché non è qui la questione. Non aggiungo l'avverbio "purtroppo" al predicato "si droga" perché provo un senso di pasoliniana compassione verso chi fa uso di stupefacenti allo scopo di evadere dalle brutture della nostra società. Certo, non lo giustifico – io non lo farei – ma lo comprendo. A certa politica fanno comodo gli eccessi di coscienza, così da poterla monopolizzare. Non avrai altra droga all'infuori della propaganda.

Qui, però, non si tratta di fare maieutica, di persuadere i giovani che la droga non rientra fra le loro legittime prerogative. Calare la mannaia della legge su un problema così serio rischia di veder falliti i propri tentativi. È come voler uccidere un'Idra mozzandole a una a una le teste. Un'impresa inutile.

____ ha detto...

Lo slogan l'ho rubato a Romano Prodi.
Mi pare efficace. Il mio obiettivo è far parlare voi. Miei adorabili visitatori