lunedì 26 maggio 2008

Da un "sensibile cittadino" per mail. Intervista a Franco Cardini

Franco Cardini non lo conosciamo solo per la notorietà dei suoi libri e per la
sua professione di docente di storia medievale. E’ anche personaggio pubblico,
interviene su giornali e alla radio. Lo si conosce come intellettuale di
destra. Da giovane ha militato nell’Msi, è stato iscritto alla Giovane Europa.

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5 commenti:

Anonimo ha detto...

governo rivoluzionario è debitore, nei confronti dei buoni cittadini, di
tutto l’appoggio della nazione, mentre ai nemici del popolo deve nient’altro
che la morte». Così Robespierre difese il Terrore il 25 dicembre 1793, davanti
alla Convenzione nazionale. Cosa fu il Terrore: necessaria difesa della
Repubblica o macchina di morte manovrata da una élite sanguinaria? Deviazione
dai princìpi del 1789 che ispirarono la "Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo e del cittadino" o loro figlio legittimo? Un libro appena uscito in
Francia riapre la discussione. "Le livre noir de la Révolution francaise"
(Editions du Cerf, pp. 882, euro 44) si tratta di rimettere in prospettiva il
fenomeno storico, pressati da una domanda: perché una Rivoluzione che si
pretendeva figlia dei Lumi e di Voltaire (quello che diceva «non sono d’accordo
con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire») finì per
celebrare le virtù della ghigliottina?

La «dissuasione dei Vandeani»

Per rispondere all’interrogativo, i contributi dei vari autori smontano pezzo
per pezzo il puzzle costruito dalla mitologia "républicaine". I massacri della
Vandea, anzitutto. I contadini di questa regione insorsero, nel marzo 1793,
contro la decisione della Convenzione di arruolare a forza 300 mila uomini da
gettare nella guerra contro Austria e Prussia. Un rapporto della Convenzione
diceva a chiare lettere che «non c’è alcun mezzo di riportare la calma in
quella regione che facendone uscire quelli che non sono colpevoli,
sterminandone il resto, e rimpiazzandolo con dei repubblicani che difenderanno
il loro Paese». Perfino Bertrand Barère, il membro "ondeggiante" del Comitato
di Salute pubblica, perde il suo proverbiale sangue freddo e intima:
«Distruggete la Vandea!». Il generale in capo dell’Armata dell’Est, Turreau,
conferma gelido: «La Vandea deve diventare un cimitero nazionale». Il giacobino
Jean-Baptiste Carrier esplode quasi esasperato: «Che non ci si venga più a
parlare di umanità verso questi feroci vandeani: devono essere tutti
sterminati!». E sterminio fu.

Si portano in giro le teste mozzate

Jean Tulard, docente alla Sorbona e all’Istituto di Studi politici di Parigi,
fra gli autori del "Livre noir", ha spiegato in un’intervista alla rivista
AF2000: «Il Terrore è irriducibile agli "eccessi". Dal 14 luglio, quando la
folla porta a spasso la testa di Launay (governatore della Bastiglia, ndr), ha
il solo scopo di azzerare le resistenze. Quando si conducono i condannati
dentro una carretta per chilometri prima di arrivare al patibolo, noi abbiamo
già a che fare con un sistema terrorista». Anche gli annegamenti degli
oppositori a Nantes (circa 3 mila persone), pianificati dallo stesso Carrier
che inneggiava al macello in Vandea, furono "dissuasivi": «Quando i pescatori
seduti sulle rive della Loira hanno visto passare i cadaveri a pelo d’acqua
hanno dovuto temperare i loro sentimenti contro-rivoluzionari». C’è
naturalmente la persecuzione contro la Chiesa. Migliaia di teste cadute all’
interno del clero "refrattario", quello cioè che non aveva prestato il
giuramento di fedeltà al documento di "Costituzione civile del clero" approvato
dall’Assemblea Costituente nel 1790.

Le ceneri di Montesquieu

In parallelo, la furia rivoluzionaria si accanì anche contro il patrimonio
artistico francese, colpevole di rinviare troppo all’Ancien Régime. A Parigi ne
fecero le spese la chiesa des Bernardins, la biblioteca di Saint-Germaindes-
Prés, le statue dei re sulla facciata di Notre Dame. Le ceneri di molti grandi
uomini furono gettate nella Senna o nelle fogne. Anche quelle di Montesquieu,
non a caso teorico dello Stato liberale basato sull’"equilibrio" dei poteri.
Altro tasto su cui battono gli autori del "Livre noir": le analogie con i
totalitarismi del Novecento, il nazismo ed il comunismo di stampo sovietico.
Sistematizzazione della politica del Terrore, omicidi delle famiglie regnanti,
attacchi contro i religiosi, utilizzo della guerra per militarizzare e purgare
la società, sacralizzazione della violenza. Dalla ghigliottina al Gulag/campi
di concentramento? Ovvio che tesi del genere abbiano scatenato un polverone
Oltralpe. Dove la retorica repubblicana è bipartisan. Anche Le Figaro, giornale
della destra francese, ha stroncato le "Livre noir", chiedendosi: «Lo spirito
totalitario non è morto. Bisogna prendersi il rischio di risvegliarne il
cadavere rianimando un dibattito che era stato vinto (una volta tanto) dal
campo liberale e chiarito?».

La risposta alle polemiche

Il radical-chic Le Nouvel Observateur ha invece attaccato frontalmente il
libro, con lo sferzante titolo "Non, Danton n’est pas Hitler!" (No, Danton non
è Hitler), pur ammettendo che c’è un fondo di verità. Alle critiche ha risposto
tra gli altri lo storico Jean Sévillia, autore di uno dei contributi al testo:
«L’iconografia ufficiale, quella dei manuali scolastici, quella della
televisione, mostra gli avvenimenti del 1789 e degli anni seguenti come il
momento fondatore della nostra società, cancellandone tutto ciò che vogliono
occultare: il Terrore, la persecuzione religiosa, la dittatura di una
minoranza, il vandalismo artistico». Da cui l’idea-base del "Livre noir":
«Mostrare l’altra faccia della realtà e ricordare che c’è sempre stata un’
opposizione alla Rivoluzione francese, ma senza tradire la Storia». La Storia,
per inciso, dice che dal caos rivoluzionario scaturì il primo dittatore
moderno, Napoleone Bonaparte.


De Maistre

Anonimo ha detto...

La società contemporanea è avviata a grandi passi verso un assetto globale o,si avvia ad assumere un'uniformità altrettanto globale.Le cose evolvono molto più velocemente di quanto gli uomini immaginino:sono anni che le porte sono spalancate,se solo adesso ce ne accorgiamo,come pretendere di tener lontano ladri,microbi,e tutto quello che vuole entrare?.Che le sovranità nazionali si siano dissipate in un unico sistema atlantista e liberista,e che al loro posto si siano formati eserciti di enti statali e para statali,governativi,associazioni umanitarie,onlus,e via dicendo,fa tutto parte del medesimo sistema.Nulla sfugge.Non esiste più un potere nazionale(anche Europeo)da scalare,ne una società che possa coerentemente essere organizzata nel suo insieme.Scusate se sto facendo un po'di confusione,ma da quel poco che ne capisco,deduco,che allo stato attuale non sia più possibile nessuna nazionalizzazione delle masse.Anche l'Europa che vorrebbe Cardini è virtuale,retorica,astratta e senza possibilità di autonomia.Attualmente ritengo impossibile fondare un partito o un movimento che sia,nazionale,rivoluzionario,riformatore,reazionario,e che possa durare più di un attimo.Lasciamo stare i partiti attualmente presenti in parlamento,in quanto fanno storia a se.Il"loro"problema è che manca qualsiasi o quasi comunicazione con la base,e tutto si svolge oramai attraverso circuiti chiusi e dove quasi tutto si decide per via clientelare.Bisogna uscire da questa schizofrenia,da questa piatta banalità,da questa visione della vita e delle cose politicamente corretta e conforme.Già,ma come fare?.Sinceramente non lo so,sono solo un uomo che cerca di capire cosa gli capita attorno cercando in qualche maniera una via d'uscita..L'uomo moderno vive di frustrazioni,incapace di assumere sulle sue spalle la responsabilità di un'avventura,o anche il peso della disapprovazione generale,l'individuo medio oggi,si limita a fare come le pecore:bruca un'erba che oramai è velenosa.Cosa voglio dire:che c'è solo una via d'uscita,o perlomeno è quella che vorrei seguire.Consiste nell'ammettere che non possiamo più utilizzare nessuna stampella,sia essa ideologica o religiosa o pseudo spirituale,ma che dobbiamo imparare a camminare da soli.Basta attaccarsi a boe o appigli vari,si deve prendere il largo,vincendo la paura.Anche a costo di rinunciare alla nostalgia per una costa che sta sprofondando.A che serve dirsi"abbiamo toccato il fondo,e adesso possiamo risalire".Io penso che stiamo scavando sotto il fondo,e chissà sotto il fondo ci sarà pure qualcosa.Il mio interesse in questo momento va nella ricerca di un gruppo di amici con cui condividere cose importanti.Ed è verso la dimensione locale che rivolgo la mia attenzione:a Legnago.Non mi interessa nulla dell'Africa o anche che ne so,dell'Irlanda,ma mi interessa Legnago,al maassimo il Veneto.A che serve abbaiare alla luna?.A niente.Serve solo a farci"brucare"altra erba velenosa.Non è assolutamente certo che questo sistema tenga a lungo:forse si,forse no.Nemmeno è certo però che il dopo sia migliore...anzi.Bisogna essere preparati ad ogni genere di scenario...SIMONE

Anonimo ha detto...

Ciao Paolo! Un saluto da tutto il circolo di AG Badia Polesine. Mi raccomando, quando puoi vieni a trovarci, le porte per te sono sempre aperte! IN ALTO I CUORI! Ps: se vuoi lascia un tuo saluto sul nostro sito: agbadia.altervista.org

Unknown ha detto...

Ciao a tutti.
Come da accordi lascio l'indirizzo e-mail mio e di roland.

roland.tedesco@tiscali.it
rettondiniluca@gmail.com

____ ha detto...

CONTINUA: INTERVISTA A FRANCO CARDINI
Oggi scrive di sé sul proprio sito personale: «Cattolico, tradizionalista, uomo
d’ordine e di forte senso dello Stato, potrei forse ancora dirmi “di destra”.
Da anni non mi considero né mi autoqualifico più in tal modo: ma vedo che così
continuano a etichettarmi; confesso che la cosa mi secca un po’, tuttavia
lascio correre. Ma la mia tensione verso la giustizia sociale e il mio convinto
europeismo m’impediscono di provar la minima simpatia per una destra che ormai
ha scelto quasi all’unanimità il liberismo e l’atlantismo più sfrenati e che
sovente ostenta anche un filocattolicesimo peloso, strumentale, palesando di
ritener la Chiesa cattolica solo un baluardo dell’ordine costituito e del
benpensantismo conformista».

Anche lui, come Bifo, parte dalla crisi della democrazia, dalla separazione
tra parlamento e società, tra paese virtuale e paese reale. La rappresentanza,
dice, ha subìto una sorta di corto cir- cuito, non riesce a garantire più la
visibilità della protesta e del pensiero critico. La politica si è ridotta a
gover- nabilità. La democrazia a potere delle oligarchie. C’è spazio solo per
il conformismo, per chi si accoda a pensa- re che non c’è altra via all’infuori
del liberismo e della globalizzazione.

A differenza di Bifo, però, Cardini insiste sulla responsabilità dei partiti,
sul loro aver abdicato a qualsiasi ruo- lo di autonomia dai poteri forti dell’
economia. «Sono finiti i tempi della vecchia Repubblica. All’interno dei
partiti non c’è più traccia di dialettica tra vertice e base. Le segreterie
fanno il bello e cattivo tempo». Colpa del leaderismo, della personalizzazione
alla quale i partiti non si sono sottratti. Ma una quota di responsabilità
spet- ta anche agli apparati culturali, ai mass media, alla scuola, a tutti
coloro che in qualche modo si rivolgono al- l’opinione pubblica. Siamo tutti
coinvolti nella spoliticizzazione del senso comune, «ognuno dovrebbe sentir- si
in dovere di risollevare il livello del dibattito pubblico. Dobbiamo spiegare
che a forza di ripetere che la po- litica è cosa sporca, abbiamo finito per
lasciarne il monopolio a chi davvero la vuole ridurre in sporcizia».

Le elezioni ci hanno consegnato un parlamento omologato. Pochi partiti
oligarchici e simili fra loro quanto a programmi. E' solo un problema
elettorale?

Le segreterie dei partiti hanno espropriato il popolo italiano e la società
civile della scelta dei propri delegati al parlamento. Il meccanismo delle
preferenze era l'ultimo brandello, non trascurabile, di strumento democratico.
Certo, anche quello non è un meccanismo perfetto perché non garantisce a tutti
la pari opportunità di presentarsi come candidato. Entra in politica solo chi
ha la possibilità e i mezzi economici per farlo. Nessun partito ha mandato in
parlamento deputati invisi alle proprie segreterie, cosa che invece con le
preferenze può anche accadere. La stessa Commissione episcopale italiana ha
parlato di una grave svolta oligarchica. La dice lunga. Se poi a questo si
aggiunge che all'interno di uno stesso gruppo parlamentare ci sono personaggi
antitetici, ci accorgiamo davvero della crisi della rappresentanza politica.
Cosa ci fanno, ad esempio, Ciarrapico e Fiamma Nirenstein nello stesso gruppo?
Potrei anche citare anche altri casi.

La prova dello spostamento oligarchico è l'assottigliarsi in parlamento delle
differenze fra destra e sinistra. Ci sono rovesciamenti paradossali, politici
del Pd che esaltano la globalizzazione e personaggi del Pdl che la criticano,
come Tremonti. Anche questo è un sintomo della crisi della rappresentanza. O
no?

Non sono d'accordo con la risposta che Tremonti dà agli squilibri della
globalizzazione. Lui propone il puro e semplice mercantilismo, il
protezionismo. E' inutile che lui parli della difesa del prodotto europeo. In
linea di massima potrei essere d'accordo. Ma Tremonti che è persona competente
sa meglio di me che non sono un economista, che la maggior parte del prodotto
europeo si fa in realtà fuori dell'Europa. E lo si fa giocando su quello che
una volta si sarebbe chiamato plusvalore. La produzione è stata spostata
laddove la manodopera costa di meno. Proteggere un prodotto europeo che però
viene fatto pagando a sottocosto i lavoratori dell'Est o dell'Asia, contro le
merci che arrivano da fuori non sarebbe un rimedio ma un intervento che
addirittura accrescerebbe la sperequazione del meccanismo globalizzatore. Detto
questo il libro di Tremonti infrange il conformismo dei liberal-liberisti che
domina a destra come a sinistra. Il liberismo è diventato come l'atlantismo,
nessuno lo mette più in discussione.

La melassa delle idee rischia di alimentare l'antipolitica. Ma in questo non
hanno qualche responsabilità gli stessi partiti che hanno annacquato qualunque
residuo di ideologia critica?

Abbiamo un personale politico che, a detta di molti, viene pagato troppo. Non
so se sia vero. Fatto sta però che i gruppi dirigenti dei partiti, nonostante
il loro status, sono incapaci di autonomia nelle loro scelte. La classe
politica è sempre più relegata a ruolo di esecutrice rispetto ai poteri forti,
all'economia, alle lobbies, alle multinazionali, alla finanza. La politica
perde autonomia. Altro che primato della politica come dicono alcuni! I vertici
sono asserviti mentre il livello morale, culturale, professionale dei quadri
medi è sempre più basso.

Ma la crisi della politica non è solo il risultato transitorio di un
meccanismo elettorale balordo. Forse c'è un processo più profondo. Il conflitto
sociale che un tempo era il corpo della politica oggi non non accede più alla
rappresentanza. E al suo posto resta solo la governabilità, l'amministrazione
dell'esistente. La cosiddetta semplificazione del sistema politico va di pari
passo con questo processo. Non trova?

Oggi la chiamano governance , il termine inglese è più rassicurante. Suona
più importante. Governabilità è un bell'eufemismo che sta a significare, in
realtà, disciplina di gruppo. Le segreterie hanno scelto uno per uno i propri
deputati. Certo, ci sono sempre stati favoritismi, amicizie, relazioni
parentali, amiche e amichette. Ma oggi c'è un giro di vite. I deputati, per la
maggior parte, non hanno credibilità, non hanno nessun legame con il loro
elettorato. Molti di loro non hanno fatto neppure campagna elettorale e non si
sono fatti vedere nella propria circoscrizione. Ma in cambio sanno benissimo
che se sgarrassero verrebbero messi fuori senza tanti complimenti. Proprio
perché non hanno peso possono essere scaricati dalle segreterie dei partiti
dall'oggi al domani. Non sono mica come De Mita, per escludere il quale c'è
stato bisogno di tempo e discussione. Se i nuovi deputati non dovessero essere
rieletti in futuro, nessuno se ne accorgerebbe. E se anche vanno in giro a
discutere nessuno li conosce. Sono anonimi. Così non era nelle passate
legislature, per non parlare della vecchia Repubblica. C'era tutto un altro
meccanismo, pensiamo alle tribune politiche o ai tanto vituperati comizi. A
destra oggi si discute di congressi per sancire la nascita di un partito unico
tra Forza Italia e An. C'è chi, come Alemanno, si oppone e preferisce una
federazione elettorale al posto di una fusione fredda, di un atto d'imperio
delle segreterie. E' un ragionamento corretto, a mio parere. E' normale che nei
partiti ci debba essere una dialettica interna, che si debbano ascoltare le
basi. O, meglio, una volta era scontato che i partiti dovessero funzionare
così. Oggi non lo è più. E' finita qualsiasi dialettica. E anche chi, in
teoria, avrebbe una minima voce, per quanto flebile, come giornalisti e docenti
universitari, è tagliato completamente fuori.

I partiti non possono chiamarsi fuori dalla crisi della politica e scaricarla
semplicemente alla società civile. Ci sono responsabilità reciproche e
specifiche. Per la propria parte i partiti hanno contribuito con involuzioni
oligarchiche al proprio interno, con la personalizzazione e il leaderismo, con
l'annullamento di ogni dialettica tra vertice e base. Come se ne esce a questo
punto, ora che il parlamento e il paese reale non coincidono più?

Ho sentito molte persone, anche di destra, commentare con preoccupazione il
risultato elettorale della sinistra. Possiamo anche dire che se l'è meritata
questa sconfitta, certo. Però a nessuno sfugge il problema della mancanza di
rappresentanza di una parte del paese. La cosiddetta sinistra radicale ha una
sua base reale, un radicamento nella società. La domanda è: quale sarà il suo
modo di fare politica ora che è uscita dal parlamento? C'è chi profetizza, con
qualche timore, un ritorno alla piazza, al neomovimentismo, all'estremismo. C'è
persino chi teme la recrudescenza del terrorismo. Non so se queste previsioni
siano fondate. A ogni modo il problema è quale risposte diamo alla crisi della
rappresentanza. Io non ho antidoti né verità pronte in tasca. Dico soltanto che
l'espropriazione della politica e lo scadimento di qualità della classe
dirigente è giunto a un livello di guardia così preoccupante che tutti coloro
che si occupano di opinione pubblica - i giornali, i mass media, la scuola -
devono farsi protagonisti di una battaglia culturale. L'unica soluzione è un
ritorno alla politica dell'opinione pubblica. La gente si è spoliticizzata. Li
sentiamo ogni giorno gli stereotipi, il ritornello più in voga è "la politica è
una cosa sporca". Ma a forza di pensarla così, a forza di disinteressarsene,
abbiamo lasciato la politica nelle mani di chi davvero la riduce a cosa sporca.
Questo dobbiamo ricominciare a dire. L'opinione pubblica non discute più. Ora
non dico di voler tornare alle epiche campagne elettorali della guerra fredda,
ma è possibile che dai dibattiti pubblici sia completamente scomparsa la
politica estera? Sta sparendo la capacità di mettere in collegamento i problemi
di politica interna - salari, sicurezza, casa, pensioni - con quello che accade
nel mondo. La gente non discute più della crisi del petrolio, del problema
dell'acqua, dell'urgenza fame, dei danni arrecati dai biocarburanti alla
produzione agricola di beni alimentari e via dicendo. Tutte queste cose non
hanno ripercussioni sulla nostra vita? E' ovvio che questi processi mondiali
metteranno in moto un esodo dai paesi del Terzo Mondo. E cosa dovrebbero fare
per sopravvivere? Lanciare invettive contro l'immigrazione è come coprirsi gli
occhi davanti a quello che succede nel mondo. Anzi, non se ne parla proprio
dello scenario internazionale, non si parla della guerra, non si possono
criticare le dirigenze dei governi israeliani, non mettiamo in discussione la
permanenza delle nostre truppe in Libano. Nessuno ha il coraggio di discostarsi
dall'atlantismo. L'unica via d'uscita è alzare il livello politico
dell'opinione pubblica e uscire dal nostro giardinetto. Ci provi la scuola, ci
provi l'università con quel poco che ancora è rimasto in piedi. Quanto ai
giornali temo che siano inquinati da quei poteri che tengono in ostaggio la
politica.