venerdì 25 ottobre 2013

Non è più tempo di Dickens

di Paolo Cecco



Morire a diciannove anni massacrato di botte, come un cane selvatico, lontano da casa, dagli affetti più cari, dalla propria Patria, per una manciata di danari mentre si andava a svolgere un lavoro per compensare quel briciolo di dignità e integrità morale che ci differenziano dalle bestie. Questa la tragica notizia che ci arriva impacchettata dall'Inghilterra, dove il giovane lecchese Joele Leotta, da poco trasferitosi in terra britannica per cercare un impiego, ha perso la vita domenica sera dopo un incontro casuale per strada con un branco di lituani. Dieci giorni appena è durata la ricerca dell' oro, l'Eldorado di Joele: la speranza di trovare un lavoro e di sistemarsi in un mondo nuovo e più meritocratico; dopo aver dato l'arrivederci ad una terra vile, meschina e ingrata che tratta i suoi figli come dei bastardi, impedendo, in questo modo, di coltivare e far emergere una nuova e consolidata generazione di cittadini produttivi, uomini e donne su cui puntare per un prosperoso avvenire. Fa davvero male leggere queste storie d'altri tempi; subire ancora nel 2013, questi raccapriccianti e indigesti racconti dell'orrore, dove l'umanità ne esce sempre sconfitta e stravolta. Sono passati oramai più di centocinquant'anni da quando Hugo dava alle stampe il suo capolavoro – Les Misérables- scolpendo nel cuore della sua opera questa premessa: “Fino a quando i tre problemi del secolo, la degradazione dell'uomo, l'abbruttimento della donna a causa della fame e l'atrofia del fanciullo a causa delle tenebre che l'avvolgono, non saranno risolti; fino a quando, in certe regioni non sarà possibile l'asfissia sociale; fino a quando ci saranno sulla terra ignoranza e miseria, libri come questo potranno non essere inutili”. Evidentemente quei “problemi del secolo”, non sono ancora stati risolti nell'epopea dell' high technology e dei viaggi nello spazio. Il tempo degli Hugo, dei Dickens, dei Verga e dei Dostoevskij non è ancora giunto alla conclusione, non ha ancora dato tregua ad un esercito di individui trattati come carcasse umane anche in piena certezza di diritti e di costituzioni come si crogiola il nostro. Il ragazzo italiano assassinato nel Kent poteva essere ognuno di noi; certamente nulla si può recriminare al fatal destino ma la voce la si deve alzare quando storie di uomini vengono così calpestate e vilipendiate. No, non si può crepare per una paga da cameriere, non si possono tollerare come nel film di Scorsese: “Gangs of New York”, gli scontri all'ultimo sangue tra le bande per il lavoro (“Italiani di merda ci rubate il lavoro”- sembra abbiano appreso chi era presente all vile attentato). Non è possibile rubare i sogni di un ragazzo, parlare di emigrazione, tuguri, tozzi di pane rubati, umiliazioni e silenti soprusi ancora ai nostri giorni. Sono venuto a conoscenza di questo dramma sul Corriere della Sera, (pagina 20 e 21); l'assurdo era che le prime pagine erano completamente dedicate agli illustri statisti che guidano egregiamente il nostro Paese...nemmeno in patria lo sfortunato lecchese ha avuto grande considerazione, visto che l'inchiostro gettato per lui e la sua causa (che coincide con quella di milioni di giovani e migranti) è di gran lunga ridotto rispetto a notizie più superficiali. “I nostri ragazzi meritano di più, non è più il tempo di Dickens” questo è quello emerso nella lucida analisi del bravo giornalista Beppe Severgnini; il corrispondente ha ragione: “non è più il tempo di Dickens”, almeno allora si stava cementificando una coscienza sociale e civica; il giornalismo svolgeva il suo nobile compito di denuncia e inchieste (oggi vai spedito in prima pagina se fotografi il politico al Vinitaly mentre beve un Bonarda ; la terza pagina è di fatto defunta o relegata prima degli spettacoli televisivi); i partiti e i sindacati erano in sintonia o comunque non erano drasticamente separati dalla vita del popolo. Certo, caro Severgnini, oggi è peggio di quel tempo: almeno Joele avesse avuto un buon romanziere a raccoglierne le sue tribulazioni, a narrare la sua storia per poi sbatterle in prima pagina per provocare e destare vergogna ad una società inetta che non è in grado di offrire certezze, dignità e sicurezza ai suoi figli; almeno di quel barbaro Ottocento ci resta l'invenzione del romanzo sociale: una brezza d'ossigeno per sensibilizzare i potenti ed introdurre, perciò, le fondamenti di quel welfare state oramai dimenticato. Oggi se non si parla di calcio, squillo o politicanti si è consegnati, per l'appunto, poco dopo il Royal Baby e un attimo prima dell'arbitraggio di Real- Juve. Da un mediocre giornalista-pubblicista di provincia...un caro saluto Joele.

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